Il passero e il gatto.
Un passero di buon mattino sopra un alberello nel
mezzo di un giardino, osserva il prato dove si vorrebbe posare. Dietro un
cespuglio, un gatto sornione lo stava ad aspettare con pazienza.
Il passero dall’occhio fine e raffinato notandolo,
a lui si rivolge con garbo:
- E’ inutile
che ti nascondi furbacchione, io ti ho già visto! Se tu non te ne vai dal praticello,
io non ci verrò mai!
- Vieni
passero, io ti guardo perché sei bello ma non ti molesto! – replica il gatto
astuto e furbo – Non ti potrei mai fare del male, scendi pure nel prato a
razzolare nella fresca erbetta, giocheremo in compagnia!
Il passo ci pensa un po’ e replica:
- Tu che sei
tanto bravo ad arrampicarti sugli alberi, vieni tu da me, dimostrami che sei
forte e svelto!
- Va bene,
verrò io da te, ma tu aspettami, non te ne andare: fra un attimo sono da te.
Il gatto svelto in un attimo raggiunge la cima
dell’albero, ma mentre saliva, il passero era già sceso sul praticello.
- Perché sei fuggito? Non
hai mantenuto la promessa!
- Sei troppo
furbo amico mio, di te io non mi fido! Adesso si che sono tranquillo, tu da
lassù non puoi scendere tanto facilmente.
Mentre il gatto si lamentava non sapendo come fare
a scendere, il passero saltellava felice sul praticello.
- Impara ad
essere più sincero e non fare il furbo, vedrai che non ti troverai più nei
guai. Che ti serva di lezione! – disse il passero saltellando.
Il gatto dalla cima dell’albero, guardando il
passero saltellare felice, chissà cosa avrà pensato. Forse avrà capito che
nella vita non tutto si può fare, e si sbaglia a giudicare gli altri più fessi
di noi. La furbizia non si sa dove si può trovare, che sia uomo o animale.
Il vecchio tamburino.
Una mattina, mentre mi trovavo nella macchina con
mia madre, percorrendo una strada in campagna vidi fra le sterpaglie in mezzo
ad una discarica abusiva, un tamburino.
- Ferma, ferma! – Urlai a
mia madre.
Lei presa dallo spavento inchiodò la macchina.
- Che c’è Luigi? Cosa hai
visto?
Non ebbe neppure finito di parlare che io, aperta
la portiera, mi precipitai nelle sterpaglie e presi quel tamburino rotto. Mia
madre gridava:
- Gettalo!
Gettalo! Non si raccoglie la roba in mezzo alle discariche, gettalo via!
- Ti prego mamma, lascia
che lo prenda, è carino!
Lei si infuriò:
- Gettalo via altrimenti
vengo io!
- Va bene – dissi e feci
finta di gettarlo ma, poiché avevo già aperto il cofano della macchina, anziché
gettarlo lo misi dentro al bagagliaio. Risalii in macchina e ripartimmo.
Giunti a casa mia madre mise la macchina in garage
e con una scusa le dissi:
- Lo chiudo io il garage,
devo controllare la mia bicicletta!
Così lei se ne andò in casa.
Appena rimasi solo aprii il cofano e presi il
tamburino, lo stavo guardando con curiosità per com’ era fatto, d’un tratto
sentii una voce:
- Grazie bambino per ciò
che hai fatto!
Che spavento ragazzi! Feci un salto e gettando per
terra il tamburino mi avvicinai alla porta.
- Chi è che parla? Chi ha
parlato? – Di nuovo la vocina rispose:
- Sono io! Sono il
tamburino parlante, ti prego non avere paura!
- Mai, non ho mai sentito
un tamburino parlare, non ci credo, forse sono gli spiriti maligni!
- No, - disse la solita
vocina – sono io, il tamburino parlante! Se vuoi ti racconto la mia storia!
- Certo! – gli dissi.
Le mie gambe tremavano come una foglia. Mi feci
coraggio e socchiusi la porta per paura che mia madre mi disturbasse.
- Dunque racconta – gli dissi – se sei tu che parli, sono
curioso di conoscere la tua storia.
- E va bene. – rispose –
Però promettimi di non dirlo a nessuno e poi, ti prego, raccoglimi da terra e
posami in un posto più decente!
- Va bene, non lo dirò a
nessuno. –
Mentre lo raccoglievo non sapevo come fare a
toccarlo dal tremore delle mie mani.
- E dai! – mi disse – Fatti
coraggio! Io non ho fatto mai del male a nessuno.
Così lo presi e lo posi sopra una vecchia sedia che
mio nonno teneva lì quando veniva in garage a fumare il sigaro.
- Dunque raccontami.
- Prima di tutto bambino
dimmi come ti chiami!?
- Io Luigi, e tu?
- A me nessuno ha messo un
nome…io sono solo un tamburino parlante. Tu vuoi sapere perché parlo vero?
- Certo, sono molto
curioso!
- Dunque…In un paese di
campagna c’era un vecchietto minuto e magrolino, aveva i capelli bianchi e il
pizzetto sul mento. Lui ogni giorno costruiva tamburini e li faceva così bene
che tutti lo chiamavano “nonno tamburo”. Un giorno costruì anche me.
- Va bene, ma dimmi perché
parli?!
- Aspetta, che fretta hai?
calma…ti racconto tutto. Dopo avermi costruito, come faceva sempre prese le mazze e si mise a
suonarmi, lo faceva con tutti i tamburini perché se non suonavano come lui
voleva, li disfaceva per rifarli di nuovo.
Passato il collaudo, mi mise in una scatola di
cartone insieme ad altri tamburini e fui spedito in un negozio di giocattoli, dove
iniziò la mia vera vita.
Un giorno si presentò una persona anziana col
nipotino per mano e fui venduto a quel bambino. Non ti dico com’era felice! Si
chiamava Fabrizio e con i suoi amici era sempre a suonarmi ed io con loro mi
divertivo un sacco. Così passarono gli anni finchè un giorno fui messo sopra ad
uno scaffale in garage, vedevo la luce solo al mattino e alla sera ogni volta
che loro riponevano la loro automobile; l’aria era pessima, puzzava di gas di
scarico! Una vita terribile. Passati un po’ d’ anni fui messo in un sacco nero
e portato in soffitta. Là stavo ancora peggio, ero sempre al buio e avevo paura
dei topi che mi mangiassero.
- Non capisco! - dissi io –
Prima di tutto perché i topi ti avrebbero dovuto mangiare? E poi tu potevi
parlare, perché non l’hai fatto? Perché sei così ridotto male?
- Ti dirò Luigi che quando
un oggetto è ben fatto e fatto col cuore come li faceva nonno tamburo, non solo
ascoltano, ma prima o poi parlano pure! Io capivo tutto ma non potevo parlare
perché non era venuto il momento opportuno per farmi parlare. Comunque in
soffitta mi pareva di stare in una prigione, la notte sentivo i topi che
scorrazzavano da una parte all’altra ed io tremavo, avevo paura che venissero a
rosicchiarmi!!
- Perché ti avrebbero
rosicchiato? E poi come facevi a sapere che ti avrebbero rosicchiato?
- Quando nonno tamburo
spediva i suoi tamburini, ogni volta si raccomandava sempre : “fate attenzione
a dove li mettete, perché i topi rodono la pelle!”. Come tu sai, la mia pelle è
di somaro, e i topi sono ghiotti, perciò avevo tanta paura! Finché una notte,
un topolino entrò dentro il sacco e dietro a lui altri ancora, e cominciarono a
rosicarmi. A quel punto non so come feci ma strillai forte. I topi scapparono
tutti spaventati, e da sotto sentii delle voci gridare:
- In soffitta ci sono i
topi, dobbiamo ripulirla un giorno o l’altro, ho sentito un grido! – gridava una
signora.
- No no, - rispondeva il
marito – tu hai sognato!
- No no, - rispondeva la
moglie – lassù va fatta pulizia!
E così dopo alcuni giorni presero il sacco nero ed
insieme ad altri oggetti fui gettato nelle sterpaglie da dove tu mi hai raccolto.
- Che storia commovente è
la tua, mi hai proprio commosso! Ma dimmi, come posso fare per suonarti ancora?
- Ascoltami: tu devi andare
in un negozio dove vendono gli strumenti musicali e chiedi chi vende la pelle
per applicarla ai tamburini. Vedrai che loro sanno come fare e tu mi potrai
riparare, così io potrò suonare ancora.
Così un giorno di nascosto a mia madre con un
compagno più grande vado in un negozio di strumenti musicali e mi faccio dare
della pelle d’asino per applicare al mio povero tamburino. Il giorno seguente
tutto contento mi reco in garage.
- Ecco, ho trovato la
pelle, ora ti rimetto a nuovo ci divertiremo insieme! Non so se sarò capace, tu
che ne dici?!
- Certo che sei capace
Luigi, guardami bene! Io tengo delle viti; tu mi smonti, metti la pelle bene in
tiro e poi le riavviti così io suonerò di nuovo. Però ricordati che quando tu
mi avrai riparato io non potrò più parlare come te!
- Ma no! – dissi io – Allora
non ti riparo più!
- No Luigi, tu mi devi
riparare perché io sono nato per suonare e per far felici i bambini! Così ha deciso
nonno tamburo e così io, anche se lui sarà già morto, devo mantenere le sue
promesse!!
Io non sapevo che fare e pensando capii che in
fondo aveva ragione lui: ognuno è creato per l’uso proprio, e così con le
lacrime agli occhi seguii le istruzioni che mi aveva detto. Dopo averlo
ripulito ben bene lo lucidai che sembrava nuovo. Presi due racchette e
cominciai a suonarlo, era magnifico, non ero stato mai così felice in vita mia.
E lo suonai tanti anni, solo e con i miei amici,
finchè anche per me gli anni passarono e non potendolo più usare, lo appesi
sopra il mio letto in camera mia, e guai se qualcuno lo toccava! Ero talmente
geloso che in camera mia entrava solo mia madre.
Ogni sera prima di addormentarmi gli parlavo,
raccontandogli i fatti della giornata. Oramai per me lui era la cosa più cara che io possedessi. Anzi,
un giorno mi venne un’idea: ma se io lo smonto, lui potrebbe di nuovo parlare?
Così si, potrei conversare con lui! Ma poi pensai alla promessa fatta e mi
chiesi: “le promesse vanno mantenute anche fatte a un povero tamburino
parlante.” Lo terrò con me per sempre, un giorno pure io avrò dei figli lo lascerò
a loro e si potranno divertire come mi sono divertito io, pure il tamburino
sarà contento di rimanere con i bambini e vivrà solo allo scopo per cui è nato.
Chissà, forse anche nonno tamburo sarà felice che io abbia dato grazia alle
capacità del suo lavoro, che per noi sempre vivrà a ricordo.
Luigino ed il lupo.
Un giorno d’estate una comitiva di ragazzi decide
di formare un gruppo di boy scout e, inoltrandosi nella foresta, piantano le
tende vicino ad un piccolo ruscello.
Il giorno seguente il capogruppo insieme ai
compagni decide di fare un’escursione all’interno del bosco.
Cammina cammina, sulla strada del ritorno il
piccolo Luigino, che era solito camminare per ultimo, ad un tratto scivola e
cade sbattendo la testa in un grosso masso restando a terra svenuto.
I ragazzi non si accorsero di ciò che era successo,
solo quando arrivarono all’accampamento si resero conto che mancava Luigino!
Disperati cominciarono a cercarlo gridando e guardando da ogni parte.
Nel frattempo si stava facendo buio ed era
impossibile continuare le ricerche.
Luigino nel frattempo si risvegliò trovandosi solo
nel buio della foresta, si spaventò tantissimo, provò ad alzarsi ma la gamba
gli faceva un gran male. Con gran volontà si alzò ma appena in piedi ricadde a
terra e dal dolore si mise a piangere.
Nel sentire i lamenti, un vecchio lupo che si
trovava nelle vicinanze si avvicina. Luigino quando lo vide prese uno spavento
che per poco ne morì!
- Non avere paura - disse
il lupo – non ti faccio del male, dimmi cosa ti è successo, se posso ti aiuto
con piacere!
Luigino era pietrificato dalla paura.
- Dai - ripeteva il lupo
– ti voglio solo aiutare!!
Luigino ascoltava le parole del lupo e pensò: “Se
il lupo parla così sarà vero, altrimenti mi avrebbe già mangiato!”. Così con voce
tremolante gli raccontò la sua brutta avventura.
- Adesso è buio, non so
ritrovar la strada, né posso camminare, non potrò mai tornare all’accampamento
da solo con una gamba che mi fa un male da morire!
E nel mentre continuava a piangere come un disperato.
- Calma, calma! – ripeté il
lupo – Vedrai che il rimedio si trova. Tu monta in groppa e ti porterò
all’accampamento.
- Ma tu la strada la sai? –
disse Luigino asciugandosi gli occhi.
- Stai tranquillo, il bosco
lo conosco molto bene, poi col mio odorato sono certo di trovare i tuoi
compagni.
Da sopra un albero, un gufo che stava lì per caso,
ascoltò tutta la storia e volò loro vicino dicendo:
- Salve amici!
- Salve! – rispose il lupo.
- Dall’albero ho ascoltato
i vostri problemi. Se volete vi aiuto a ritrovare la strada ho già visto dov’è
l’accampamento di Luigino, lo faccio con piacere!
- Grazie - disse il lupo -
certo con te facciamo prima!
Luigino non capiva più niente, era talmente confuso
nel vedere tutto questo interessamento che non gli sembrava vero.
Il lupo si accovacciò per terra:
- Forza, fai uno sforzo,
monta in groppa e reggiti bene al collo senza paura.
Luigino con fatica salì sulla groppa del lupo e s’
incamminarono piano piano nella foresta. Intanto il gufo da sopra gli alberi
indicava la strada da seguire.
Il lupo chiese al bambino:
- Come ti chiami?
- Mi chiamo Luigi ma
essendo piccolo mi chiamano tutti Luigino!
- Ascoltami bene Luigino -
gli disse il lupo con voce un po’ affaticata - quando voi umani vi avventurate
nel bosco dovete ricordarvi che avete solo due gambe. Se uno scivola non si sa
come può andare a finire! Noi abitanti della foresta abbiamo tutti quattro
zampe, se una scivola con tre non si cade mai.
- E’ giusto quello che dici
- replica Luigino – noi non possiamo camminare con le mani per terra, sarebbe
impossibile non ti pare?
- Certo - dice il lupo -
però voi avete il cervello con molta intelligenza, se lo adoperaste con più
impegno vi costruireste un bastone che in caso di necessità sarebbe molto utile
per sostenervi, giusto?
- E’ vero caro lupo, tu
dici cose giuste, purtroppo per me è la prima volta che mi reco nel bosco, terrò
presente i tuoi consigli.
Il lupo un po’ stanco disse al gufo:
- Gufo, dove sei? Quanta
strada dobbiamo ancora fare?!
- Io sono stanco - replica il
gufo con voce affaticata - dopo quella collina davanti a te c’è il prato con
l’accampamento, vi potrei anche salutare tanto ormai non puoi più sbagliare.
- Se è come tu dici, va
bene e grazie della compagnia!!
- Ciao Luigino! - gridò il
gufo da sopra l’albero - Tieni conto dei consigli che ti ha dato il lupo perché
lui è il più saggio di tutti gli abitanti della foresta!
- Grazie gufo, stai
tranquillo! Dopo ciò che sto passando ne terrò conto sì anzi…lo dirò anche ai
miei compagni, in modo che anche loro capiscano quali sono i pericoli della
foresta. Ciao amico gufo, ti saluto e ti ringrazio dell’invito che ci hai dato.
Mi ricorderò sempre di te!
Mentre il gufo si allontanava fra gli alberi, il
lupo arrivato in cima alla collina, vide nella valle le luci dell’accampamento.
- Luigino! – esclamò - Ci
siamo, ci siamo!
Il lupo si ferma e dice:
- Mi devo riposare un po’,
non ce la faccio a proseguire!
- Ci vado da solo! – disse
Luigino – Ci vado da solo!
Ma appena in piedi, cadde a terra dolorante.
- Ma dove vuoi andare!? –
disse il lupo leccando la caviglia di Luigino - Hai la caviglia rotta, riposati
e stai calmo che fra un pò si riparte!
Luigino con voce soddisfatta gridava:
- Ce l’abbiamo fatta!!! –
guardando le luci dell’accampamento - Il gufo aveva proprio ragione!
- Certo, cosa pensavi che
ci avesse imbrogliato?! – disse il lupo - Noi abitanti della foresta siamo
sempre sinceri e onesti, non come voi che venite a cercarci col fucile solo per
la soddisfazione di uccidere un essere vivente. Se anche siete più intelligenti
di noi avete molta meno umanità.
Luigino nel sentire quelle parole si mise a
piangere.
- E’ giusto quello che
dici…hai perfettamente ragione. Ti prometto che quando sarò grande, farò il
possibile perché tutto questo non accada più!
Dopo un breve riposo si rimisero in cammino.
Appena giunti vicino all’accampamento videro i
compagni di Luigino tutti disperati seduti attorno ad un fuocherello che
tenevano acceso per compagnia.
- Ehi guardate! – esclamò
Paolo – Un lupo si avvicina verso di noi!
Tutti si alzarono di scatto, chi correva da una
parte e chi dall’altra a prendere dei bastoni.
“Belle maniera di accoglierci!” pensò il lupo e
gridò:
- Che maniere sono queste?
Vi sembra il modo di accogliere degli amici?
- Fermatevi, fermatevi!
- gridava Luigino - Lui è mio amico! Mi
ha salvato la vita!
Nel sentire quelle parole nel buio della notte,
Antonio, il più grande del gruppo, si fece avanti dicendo:
- Che storia è questa? Non
ho mai visto un lupo farsi cavalcare! Correte! Correte! - gridava ai compagni -
E’ arrivato Luigino sulla groppa di un lupo! Venite a vedere! - gridava.
I ragazzi si avvicinarono ad Antonio rimanendo
tutti meravigliati nel vedere un lupo così disponibile.
- Che storia è mai questa?
– replicò Antonio – Raccontaci Luigino, siamo tutti curiosi di conoscere la tua
avventura!!!
Mentre Luigino raccontava la sua storia, il lupo
stanco ed affamato pensava: “Vuoi vedere che questi, dopo quello che ho fatto,
non mi dicono nemmeno grazie?”.
Ma non fu così perché appena Luigino finì di raccontare
tutto, i ragazzi gli andarono incontro per accarezzarlo e fargli tanti
complimenti, ed uno di loro disse:
- Avrà fame! Dobbiamo
dargli qualcosa da mangiare!
- Giusto! – risposero i
ragazzi in coro.
Tutti corsero nelle tende a prendere ciò che avevano
di meglio: chi portò la carne, chi i biscotti, la ciambella, la crostata…Paolo
portò perfino delle polpette che gli aveva fatto sua mamma sebbene a lui
piacessero tanto.
Il lupo mangiò quasi tutto poi li ringraziò
dicendo:
- Sono felice di avervi incontrato,
una compagnia così non s’ incontra spesso nella mia vita! Ora però devo andare
dai miei compagni, chissà dove saranno, forse mi staranno aspettando!
I ragazzi in coro gridarono:
- Resta con noi! Resta con
noi! Ci farai molta compagnia, ti vorremo bene e ci sentiremo più protetti con
la tua compagnia!
Luca, con gli occhi rossi disse:
- Sarai il nostro
guardiano!
Il lupo disse:
- Voi non avete bisogno di
guardiani ma di uomini onesti che vi insegnino a vivere. Nella foresta non ci
sono mai animali cattivi e pericolosi!
Il lupo si alzò e poi proseguì:
- Adesso devo proprio
andare, i miei compagni mi aspettano, sono addolorato nel lasciarvi ma
appartengo ad un altro mondo. E così s’incamminò nel buio della foresta.
- Aspetta, aspetta! – gridò
Luigino – Ti voglio salutare per l’ultima volta prima che tu te ne vada!
Il lupo tornò indietro, si abbracciarono a vicenda
quando dal viso di Luigino apparvero le prime lacrime; il lupo capì che era ora
di andare.
Leccò con delicatezza le guance di Luigino e senza
voltarsi sparì nel buio. Forse anche il lupo era emozionato!
I ragazzi che avevano assistito alla scena erano
tutti commossi, nessuno di loro avrebbe mai immaginato di vivere un’avventura
così bella e di imparare tante cose buone da un lupo che fino ad allora
giudicavano un animale cattivo e pericoloso.
Il lupo aveva fatto capire loro che la cattiveria è
nell’uomo che vuole uccidere e non nell’animale.
I ragazzi lo avevano capito bene ed appresero da
lui un buon insegnamento.
Il gallo e la volpe.
In un casolare di campagna, un contadino aveva un
figlio di nome Sandro detto anche “Sandrino” che tutte le sere prima che si
facesse notte aveva il compito di chiudere la finestra del pollaio, dove suo padre
Gustavo teneva le galline.
Una sera mentre Sandrino si recava a chiudere la
finestra, incontrò il suo amico Fabrizio. Dopo una breve conversazione tirarono
fuori dalle tasche le loro sfere di vetro e si misero a giocare.
Il tempo passa e il cielo si oscura, la madre
chiamò Fabrizio in casa e i due amici si divisero, andando ognuno a casa
propria.
Sandrino nel giocare con Fabrizio si era
dimenticato di andare a chiudere la finestra del pollaio. Giunta la notte
fonda, come era consuetudine, una giovane volpe gironzolava intorno alla casa
cercando qualcosa da mangiare.
Arrivata al pollaio e vista la finestra aperta, con
prudenza si affacciò e vide le galline che dormivano. Solo il gallo che stava
vicino alla finestra, appena udì la volpe si svegliò d’un tratto e resosi conto
che la cosa si metteva male per lui, cominciò a saltare.
- Cosa fai tu qui? – disse
alla volpe – Lo sai che non sei gradito nel pollaio?
La volpe passato lo spavento disse:
- Io mi devo pure nutrire
in qualche modo, decidi tu chi devo mangiare per primo!
Il gallo vecchio furbacchione le rispose:
- Vai là in fondo al
pollaio, ci sta una cesta con le uova fresche, fatti una bella scorpacciata!
La volpe che è ghiotta di uova si diresse alla
cesta e pensò:
-
Appena ho mangiato le uova, mi scelgo la gallina più bella e la porto via.
Il gallo, mentre la volpe mangiava le uova, si mise
a cantare “Chicchiricchììì! Chicchiricchìììì! Chicchiricchììììì!”, e cantava
con tutto il fiato che aveva in corpo. Cantò così forte che il contadino disse
alla moglie Elvira:
- Chissà perché alle due di
notte il gallo canta così fore?!
- Vai a dare un’occhiata –
gli disse la moglie Elvira – non si sa mai, la cosa è abbastanza strana!
Il povero Gustavo si vestì in fretta e, preso il
fucile, andò nel pollaio. La volpe che stava ancora a mangiare le uova, appena
sentì aprire la porta scappò verso la finestra. Gustavo, impugnato il fucile,
fu pronto a sparare, ma il gallo fece un salto e si pose fra la volpe e
Gustavo. Così per paura di uccidere il gallo, il povero contadino non poté
sparare e la volpe fuggì via lontano.
Chissà perché il gallo salvò la vita alla volpe
affamata, questo non lo sapremo mai.
Il pastorello.
Mentre vi scrivo questa breve storia, mi trovo
seduto ai piedi di un’ enorme sughera in cima ad una collina in Gallura, con
accanto il mio amico cane ad osservare le pecore che brucano l’erba.
Dimenticavo…non mi sono presentato! Mi chiamo
Stellino, un nome strano non vi pare? Mi misero questo nome perché mia madre,
essendo moglie di un pastore, mi partorì una sera d’estate in mezzo ad un
prato; in cielo c’erano tante stelle e mio padre decise di chiamarmi Stellino.
Il mio amico cane si chiama Bobi, è molto
intelligente ma non parla, ci capiamo solo con lo sguardo e col fischio che
solo io so fare.
La mia vita trascorre sulle colline della Gallura
con Bobi a pascolar le pecore che mio padre mi ha affidato.
Un giorno pioveva da matti ed una pecorella morì
scivolando in una scarpata. Aveva partorito da pochi giorni e l’agnellino che
aveva assistito alla tragedia si mise a belare così forte che sembrava un
umano.
Io nel sentir quel pianto così accorato mi recai da
lui e quando vidi la madre giù nel fossato, che non dava alcun segno di vita,
mi venne da piangere ma non per la povera pecorella bensì per l’agnellino che
era rimasto solo.
Lo presi in braccio e giunti a casa raccontai tutto
a mio padre il quale mi disse:
- Io vado a riprendere la
pecorella morta e tu pensa a dare del latte all’agnellino.
Avevamo sempre un biberon per dare il latte agli
agnellini in caso di necessità, così presi il piccolo al collo mentre belava
per essere rimasto solo e con fatica gli diedi il latte. Dopo la pappa mi
guardò come per dirmi “Tu non sei mia madre!”.
Finalmente, stanco si addormentò.
La mattina seguente lo portai a pascolare com’ero
solito fare e lui non si staccava mai da me. Chissà, forse mi aveva sostituito
alla sua mamma! Fatto sta che anch’io mi ero affezionato a lui, anche Bobi ci
giocava a volte. Dunque pensai “gli devo dare un nome!”; visto che era una
femmina, la chiamai Lola e quando la chiamavo, correva saltellando, sembrava
felice nel sentirsi chiamare da me.
Così pian piano diventò una pecorella e pascolava
con le altre pecore, solo che io di tanto in tanto sentivo la nostalgia e la
chiamavo “Lola, Lola!” e lei correva subito da me per farsi carezzare.
Oramai eravamo tre amici: io, Bobi e Lola.
Ah, dimenticavo! La sera alla mungitura, lei non si
faceva mungere dalla mungitrice e voleva solo che lo facessi io, altrimenti non
dava latte. Ero ben contento di farlo: eravamo amici.
Un giorno all’ovile arrivarono le guardie con un
signore vestito di bianco, presero del latte e prelevarono del sangue ad alcune
pecore, volevo chiedere a mio padre il motivo ma non ne avevo il coraggio
perché lo vedevo molto preoccupato. Così un bel giorno si presentarono le
stesse persone e si appartarono con mio padre in magazzino, discutendo
animatamente, finchè se ne andarono tutti imbronciati e mio padre uscì che
aveva gli occhi rossi.
Non feci in tempo a chiedere cosa fosse successo
che lui col pianto alla gola mi disse:
- Caro ragazzo, dobbiamo
abbattere tutte le pecore.
- Ma perché? – dissi io.
- C’è un’epidemia e sembra
secondo loro che siano malate anche le nostre pecore.
- E adesso come facciamo? –
dissi - Abbiamo tre giorni di tempo, poi le vengono a prelevare e le portano al
macello!
Non volevo crederci e non vi dico con che tristezza
le portai a pascolare. Perfino Bobi era triste. Chissà forse dalle nostre facce
ed i discorsi aveva capito qualcosa anche lui.
Quella mattina Lola mi stava sempre vicino e di tanto
in tanto mi guardava belando. Io mi chiesi “Vuoi vedere che ha capito anche lei
di questa brutta storia?”.
Al solo pensiero di liberarmi di Lola mi veniva da
piangere, pensa che ripensa, mi venne un’idea; così la sera prima di venire a
prelevare le pecore, presi una fune e legai Lola alla solita sughera. Le baciai
la fronte e le dissi:
- Fai la buona! Domani
mattina ti vengo a prendere di nuovo! Lei mi guardò, diede una belata e si
accasciò, pareva che avesse capito tutto.
Alla mattina quando arrivarono a prelevare le
pecore con un grosso camion cominciarono a contarle e ne mancava una.
Erano tutti arrabbiati e mio padre se la prese con
me. Mi diceva ad alta voce:
- Ne hai perso una! Come
hai fatto?
Bobi che sapeva tutto, se ne stava rannicchiato in
disparte guardandomi un po’ spaventato.
La guardia ci disse:
- La dovete ritrovare a
tutti i costi, altrimenti sono guai! C’è il rischio che se è malata trasmetta
la malattia alle nuove pecore che verranno!
- Ha ragione! – ribatté mio
padre alzando una mano per colpirmi, ma io mi misi a piangere e li commossi
tutti e due.
- Va bene – disse la
guardia – noi ce ne andiamo ma appena la trovate, mi raccomando, portatela al
macello!
- Senz’altro! – rispose mio
padre – Senz’altro!
Si salutarono, il camion partì con tutte le nostre
pecore, mancava solo Lola.
- Vai a cercarla! – disse
mio padre arrabbiato; ma io appena girato l’angolo di casa saltavo di gioia e
Bobi insieme a me.
Eravamo entrambi felici per aver salvato la vita a
Lola ma la storia non era ancora finita. Per una settimana dovetti fingere di
andare a cercare Lola ed io invece passavo tutto il giorno con lei e Bobi.
Furono i giorni più belli della mia vita, anche
perché Lola ormai aveva capito tutto e mi aveva fatto capire che sopportava
bene le notti sola, tanto che non la
legavo più e la sera, ogni volta che la lasciavo, le baciavo la fronte e lei mi
salutava a suo modo con una lunga belata. Finché dopo aver disinfettato tutto
l’ovile ben bene, un mattino arrivò un camion pieno di pecore. Mio padre lo rividi
finalmente sorridere e mi disse:
- Adesso tocca a te, figlio
mio e che Iddio ce la mandi buona!
Quando Lola vide me e Bobi che correvamo da una
parte all’altra guidando il gregge come mai avevamo fatto, ci venne incontro
saltellando dalla gioia e belando continuamente, io l’abbracciai e facemmo
insieme due capriole sull’erba ancora umida dalla rugiada, poi di corsa si mise
fra le altre pecore annusandole come per dare loro il benvenuto.
La sera appena rientrato a casa, dico a mio padre:
- Papà è ritornata la
pecorella smarrita!!
Lui mi guarda e sorridendo mi dice:
- Lo immaginavo che
l’avessi ritrovata, è quella che a te stava tanto a cuore, non è vero?!
- E’ vero! – risposi con
orgoglio.
- Allora ascoltami
figliolo, non possiamo correre il rischio di perdere le pecore di nuovo per
colpa della tua pecorella. Domani mattina le preleverò il sangue ed il latte
domani mattina lo porterò dal dottore per analizzarlo, va bene?
A malincuore gli dissi:
- Va bene papà.
E così al mattino seguente lui uscì presto col
sangue ed il latte di Lola mentre io come al solito andai sulle colline a
pascolare.
Il tempo non mi passava mai, tant’è che a sera
rientrai prima del solito.
- Che hai? – disse mio padre – Perché sei rientrato
prima?
- Non mi sentivo bene – gli dissi chiedendo i
risultati delle analisi.
- Non le ho, – rispose – me le danno domani
mattina!
Tutta la notte non potei prender sonno e la passai
quasi tutta in bianco.
Al mattino, barcollando mi avviai in campagna con
le pecore mentre mio padre andò in paese a ritirare le analisi.
Un po’ per la stanchezza, un po’ per la paura, mi
stavo preparando sempre più al peggio, anche Bobi era giù di corda quel giorno,
mentre Lola era sempre tranquilla e serena.
A sera vidi mio padre sorridente:
- E’ andata bene - mi disse
- la tua pecorella è sana come un pesce!
Ero felice, lo baciai e poi andai a dare la notizia
a Lola, ma lei era tranquilla come al solito.
Chissà, forse sapeva già tutto ancora prima di noi!
Gli animali a volte sono più intelligenti di noi;
anche se non sempre lo crediamo, hanno un cervello pure loro. Non parlano, è
vero, ma basta guardare i loro occhi per capirli. Se li osservi attentamente,
ti accorgi che hanno il pensiero anche loro!
La scatola di latta.
Un mattino, tornando da scuola, correvo saltellando
allegramente. D’un tratto vedo ai margini della strada una scatola di latta, mi
appresto per darle un calcio, ma appena alzato il piede la sento gridare:
- Fermo! fermo! Non farlo,
mi potresti far del male!
Mi guardai attorno un po’ spaventato e non vedendo
nessuno raccolsi la scatola di latta e l’osservai per bene. Non vedevo niente
di strano sennonché all’improvviso la stessa voce mi disse:
- Sono io che ti parlo,
sono la scatola di latta! Ti prego non distruggermi, non vedi come sono bella!?
- Cosa vuoi da me? –
risposi.
- Riponimi fra i tuoi
giocattoli, ti potrei essere utile per contenere qualche oggetto a te caro, per
questo sono stata costruita!
Nel sentire queste parole, rimasi sbalordito: non
sapevo come contenermi, la scatola era sì carina e dipinta di vari colori, ma
io mi chiedevo “perché una scatola di latta parla così affettuosamente?”.
- Dimmi un po’ tu perché
parli, da dove vieni? – le chiesi curioso.
- La mia è una storia
lunga – rispose – non vorrei annoiarti
raccontandotela!!
- Dimmi, dimmi, sono molto
curioso!
- Cercherò di essere il più
breve possibile – replicò.
- Va bene ti ascolto, dimmi
pure.
- Sono nata in una grande
officina insieme a tante altre scatole, poi verniciata e riempita di
cioccolatini, rilegata con un fiocco giallo e posta sopra ad uno scaffale in un
negozio, finchè un giorno un vecchietto chiese al negoziante di acquistarmi per
donarmi alla sua nipotina e mi portò a casa sua. Prese un pennello e mi decorò
scrivendomi sopra “Un pensiero di nonno Ulisse”, così sembravo ancora più
bella. Fui incartata per bene e portata da sua nipote, quando mi ritrovai sopra
un comodino in un ospedale accanto ad una bambina bionda e riccioluta.
- Tieni, - disse il nonno –
mia cara Sandrina, ti ho portato una scatola di cioccolatini, mi raccomando non
mangiarne più di uno al giorno, altrimenti non guarirai mai!
Dopo i soliti complimenti, si baciarono
affettuosamente e salutandolo Sandrina gli disse:
- Grazie nonno Ulisse,
grazie dei cioccolatini! Ascolterò il tuo consiglio!
Così rimasti soli, la bimba mi prese fra le mani e
cominciò a carezzarmi con tanto amore, parlandomi della sua sventura che non
sto a raccontarti. Guarita che fu Sandrina, se ne tornò a casa, ed io fui posta
accanto al suo letto in modo che le fossi sempre vicino. Ogni giorno mi apriva
per prendere un cioccolatino, raccontandomi ciò che faceva durante la giornata;
mi ero affezionata a tal punto che avrei voluto parlare con lei come lei faceva
con me, ma non ne ero capace. Un giorno il nonno entra in camera a salutare
Sandrina e vedendomi le chiese:
- Tieni ancora la scatola
dei cioccolatini che ti ho regalato in ospedale?
- Certo nonno, ho seguito
il tuo consiglio!
- Brava! – disse il nonno –
Giacché ti ha portato fortuna, tienila sempre con te, così quando nonno Ulisse
non ci sarà più, tu avrai un suo ricordo e ti sarà sempre vicino!
- Sarà fatto nonno, farò
come tu dici.
Così finiti i cioccolatini, dentro di me riponeva i
suoi segreti.
Gli anni passarono, il nonno andò in cielo e
Sandrina crebbe e si fece una signorina. Svuotandomi dei suoi ricordi
infantili, mi riempì di tante letterine d’amore. Vedendola sempre allegra,
anch’io n’ero felice. Passò del tempo e tutto cambiò drammaticamente: un giorno
aprendomi prese le lettere e le strappò tutte con le lacrime agli occhi. Pensai
“chissà cosa sarà successo di tanto grave”.
Con me non parlava più, così fui abbandonata in
cima ad uno scaffale fra la polvere, dimenticata da tutti. Nel riordinare la
cameretta fui presa e deposta in cantina. Stavo malissimo, ero al buio più
profondo e con una puzza di muffa da morire.
“Povera me!” pensai, “come cambia il mondo!chissà cosa direbbe nonno
Ulisse se fosse ancora vivo!”.
Fui riempita di chiodi rischiando di finire tutta
arrugginita, ogni volta che venivano a prendere un chiodo mi sbattevano le
punte contro. Ne soffrivo molto, ma ormai mi ero rassegnata.
Passò molto tempo finché un giorno la cantina venne
ripulita e io finii in un sacco di plastica. Mentre mi trasportavano al camion
sono caduta per strada, un vecchietto mi ha raccolto, si è preso i chiodi
gettandomi in malo modo dove tu mi hai raccolto. Questa in breve è la mia
storia. Ti posso chiedere come ti chiami?
- Mi chiamo Luigi - risposi
con voce tremolante.
- Ti prego Luigi, abbi cura
di me, vedrai che non ti pentirai!
- Ma tu non mi hai ancora
detto perché parli!?
- Già è vero, che sbadata,
scusami! Quando Sandrina mi teneva sul comodino in ospedale, ogni sera prima di
dormire, rivolgendosi verso di me pregava dicendo: “Se tu potessi parlare mi
faresti compagnia, ti prego scatolina mia parla, fa finta d’ essere mia madre e
raccontami qualche storiella!”.
Ogni sera ripeteva la stessa storia, finchè un
giorno che era più triste del solito e con le lacrime agli occhi mi carezzava
pregandomi di parlare con lei, d’un tratto una voce sottile disse:
- La scatola parlerà
soltanto quando la sua vita sarà in pericolo, in modo che tu mantenga l’impegno
preso con nonno Ulisse.
Sandrina non sentì queste parole perché si era già
addormentata.
- Adesso sai perché parlo,
ma appena tornerò nella sicurezza di esistere e poter tornare da Sandrina,
rimarrò cheta tornando una scatola di latta. Ti prego Luigi, aiutami!
La storia mi commosse e chiesi:
- Tu vorresti tornare da
Sandrina?
- Certo che lo vorrei, te
ne sarei molto grata se tu mi portassi da lei, ma forse è già troppo grande per
apprezzare ancora le scatole di latta. Se tu decidi di aiutarmi ricorda ciò che
ti dico: mi dovresti riempire di cioccolatini e rilegarmi col nastro giallo.
Una volta che io sarò aperta finirà la mia magia, ma in compenso Sandrina sarà
felice per tutta la vita.
- Non preoccuparti – le
dissi – domani a scuola chiederò a tutti i miei compagni se hanno una mamma di
nome Sandra.
La riposi nella cartella e giunto a casa la nascosi
sotto il letto così che nessuno la potesse vedere. Il giorno seguente chiesi ai
miei compagni se qualcuno aveva la mamma di nome Sandra.
- Sandra è la mia mamma! –
rispose una bambina.
- Come ti chiami? – chiesi
io.
- Mi chiamo Luisa e mia
mamma si chiama Sandra, perché a te interessa mia madre?
- Ho una missione da fare,
dammi il tuo indirizzo ed io le farò una bella sorpresa, ne sarete felici
entrambe.
Così il giorno seguente, prendo la scatola di
latta, la riempio di cioccolatini che la nonna teneva nel suo cassetto e la
fascio con un nastro giallo dirigendomi poi alla casa di Luisa. Suono alla
porta, Luisa apre e curiosa della sorpresa mi dice:
- Entra, entra pure Luigi!
- Mamma! – grida lei –
Mamma, Luigi ti ha portato una sorpresa, vieni a vedere!
All’apparir della madre mi sono emozionato, non
sapevo da dove iniziare e dopo lo smarrimento penso: “Se racconto tutta la
storia, non mi crederanno mai e mi prenderanno per matto!”. Così taglio corto e
senza tante cerimonie dico:
- Lei è la signora Sandra?
- Si – risponde la donna –
sono io, e tu chi sei?
- Mi chiamo Luigi, sono un
compagno di scuola di Luisa e devo consegnarle questo regalo, sempre se a lei
sarà gradito!– ribatto io.
Messo il pacchetto sul tavolo, lo scarto con molta
emozione dicendo:
- Signora Sandra le dice niente
questa scatola di latta?
Sandra la prende fra le mani e legge le parole che
aveva scritto nonno Ulisse (un pensiero di nonno Ulisse) ed in un attimo dice:
- Si adesso mi ricordo…è la
scatola di cioccolatini che mi diede il nonno quando da piccola stavo in ospedale!
Si…è proprio quella! – ripete la signora Sandra.
Dagli occhi gli cadeva qualche lacrima.
- Luigi tu come l’hai
trovata?
- E’ una storia lunga,
molto lunga!!
Aperta la scatola, dentro Sandra trovò gli stessi
cioccolatini che gli aveva donato nonno Ulisse.
- Che strano, che strano… -
ripeteva la donna – A distanza di anni ritrovare la stessa scatola con gli
stessi cioccolatini…è molto strano!! – Ripeteva la signora Sandra.
- Dimmi, dimmi Luigino, come l’hai avuta questa
scatola?
Non me la sentivo di raccontare la storia, tanto
non mi avrebbero creduto, tagliai corto dicendo:
- Lei signora Sandra a suo
nonno aveva fatto per caso qualche promessa?
- Si, certo, - rispose
Sandra – Avevo promesso che l’avrei tenuta a suo ricordo!
- Ma non ha mantenuta la promessa – ribattei io.
- E’ vero! Povero nonno, è
vero…chissà cosa penserà di me? Ne sono molto dispiaciuta! Domani vado al
cimitero, gli porterò dei fiori e pregherò per lui, e prometto davanti a voi
che la scatola di latta la terrò finchè vivo. Alla mia morte la lascerò a Luisa
e voglio che il ricordo di nonno Ulisse rimanga sempre fra noi.
- Va bene mamma – rispose
Luisa – pure io quando tu non ci sarai più, manterrò la tua promessa a nonno
Ulisse!
D’un tratto nella stanza si udì una risata. Noi tre
ci guardammo intorno stupiti. Io per nascondere lo stupore dissi:
- E’ stato un signore da
fuori.
E la storia finì lì.
Per strada mi ripetei “che storia strana mi è
capitata! Se la raccontassi, nessuno mi crederebbe!”. Però mi ero affezionato
anch’io alla scatola di latta, ma le promesse sono promesse e vanno sempre
mantenute, credo di aver fatto una buona azione e saltellando mi avviai verso
casa, sperando che un giorno possa capitare anche a me una scatola di latta , o
meglio che a tutti i bambini possa capitare una scatola di latta così, chissà!!
Una bambola di stoffa.
Una domenica d’autunno, con mia madre e mio padre
siamo andati a fare una gita in campagna. Dopo molti chilometri di strada siamo
arrivati in un piccolo paese in cima a una montagna. In paese c’era tanta
gente, penso si stesse svolgendo una festa.
Io mi annoiavo molto, mia madre vista la mia
malinconia, per farmi contenta mi portò presso una bancarella dove una vecchia
signora vendeva un po’ di tutto e mi comprò una bambola di stoffa colorata.
La vecchia signora con passione e orgoglio, me la
presentò dicendo:
- Vedi cara…queste bambole
le ho fatte tutte io! Sono come quelle che si facevano tanti anni fa, sono
carine non è vero?
- Certo, certo! – disse mia
madre.
- Vedrà, - disse la signora
– si divertirà come ci divertivamo noi alla sua età.
Mia madre prese la bambola e la porse a me.
- Adesso cerca di stare
tranquilla e buona.
Quando la presi, mi sentii un oggetto strano fra le
mani, era fatta di tanti pezzetti di stoffa colorati cuciti fra loro, per occhi
aveva due bottoni verdi, per naso un bottone grande nero, e per bocca una
striscia di stoffa rossa. Il corpo come tutto il resto era morbido e gommoso,
mia madre mi disse che all’interno c’era la segatura. Così io con quella specie
di bambola fra le mani, in quel paese ci passai tutto il pomeriggio.
Giunta a casa la riposi nella scatola di cartone
dove tenevo altri giocattoli e non mi curai più di lei.
Una notte la vidi uscire dalla scatola di cartone e
camminare in mezzo alla camera, giunta al mio letto fece un salto mettendosi al
mio fianco, io non sapevo cosa fare e le dissi:
- Che fai tu qui? Questo
non è il tuo posto!
Lei mi guardò con quei due bottoni verdi e mi
disse:
- Perché non mi guardi mai?
Sono fatta per giocare, anche a me piace giocare con te e quando mi sei stata
vicino ero molto felice.
Io mi sentivo impacciata e non sapevo come
rispondere, con rammarico le chiesi scusa, lasciandola dormire al mio fianco.
Al mattino, quando mi alzai nel mio letto, non c’era nessuno e ne fui
meravigliata. Mi reco a vedere nella scatola di cartone e la vedo in fondo,
sotto tutti i miei giocattoli, attorcigliata a dei nastri colorati, sembrava
che fosse legata con loro. Io mi chiesi: “Allora questa notte ho sognato? E’
stato un sogno?Ma i sogni avranno una spiegazione? Saranno cose vere?”.
Erano domande alle quali non sapevo dare una
risposta. Un po’ ci pensai, poi mi dissi “ In fondo ha ragione, io non l’ho
apprezzata tanto”.
La presi in braccio e le dissi:
- D’ora in avanti ti terrò
più vicino e giocherò anche con te, però dovrò darti un nome, ti chiamerò Lola
e ti farò ancora più bella!
Presi i pennarelli e cominciai a dipingerla, dai
capelli alle sopracciglia, la bocca, le gote, insomma non si riconosceva più
quella di prima, era talmente bella che mi innamorai così tanto che non volli
più liberarmi di lei.
Alla notte la portavo a letto con me, e quando mi
alzavo la mettevo al mio posto, insomma, per me era come una sorellina e quando
la guardatomi chiedevo: “Peccato che tu non puoi parlare, avrei tante cose da
dirti, vorrei tanto sentire la tua voce come quella notte quando ti ho
sognata!!”.
- Lola - le dissi – anche
se tu non parli, io ti parlerò
ugualmente guardando i tuoi occhi verdi e la tua bocca sorridente, sono convinta
che tu quando ti parlo mi stia ad ascoltare ed io sono felice, mi dai tanta
gioia!
Cari bambini credetemi, la gioia la si può ottenere
anche pensando o adorando una semplice bambola di stoffa con la segatura in
pancia, purché sappiate dare valore e affetto anche a chi valore non tiene.
Il paese di nessuno.
Ogni anno, nel periodo delle vacanze, andiamo ad
abitare in campagna in un paese chiamato Olmo dov’ è nata mia madre che vi
possiede ancora una casa.
Un giorno decido di fare una gita in bicicletta e
parto di buon mattino.
Dopo alcune ore, dalla cima di una collina vedo un
piccolo paesino. Mi avvicino per visitarlo e giunto in prossimità di un
cartello leggo la scritta “PAESE DI NESSUNO”.
Ne rimango un po’ stupito.
Vado ancora avanti e vedo un vecchio con la barba
lunga ed il sigaro in bocca seduto su una panca di pietra ai piedi di un grande
cipresso.
Nel vederlo così imponente sembrava la sentinella
del paese. Mi fermo, mi siedo accanto e con garbo gli dico:
- Buongiorno signore, posso
sapere che paese è questo?
Mi guarda un po’ perplesso e dice:
- Prima di tutto io non
sono un signore né lo sono mai stato, mi chiamo Ottavio e tu vuoi sapere che
paese è questo? Non l’hai letto il cartello?
- Si che l’ho letto – dissi
– ma non credo sia il paese di nessuno, lei penso che viva qui!?
- Vedi ragazzo - mi disse
il vecchio - io pare che ci sia, ma in pratica non ci sono, ora mi spiego
meglio: un tempo, quando ero giovane come te, questo paese era pieno di gente
d’ogni specie, vecchi, giovani, donne e bambini. Ora siamo rimasti in cinque:
io, Beppe, Assunta, l’Elviro e l’Angiolino.
- E gli altri dove sono?
- Sono andati a vivere in
città.
- Come fate a vivere da
soli? – dissi.
- Il sindaco del paese, che
è giù alla valle, ci ha detto che potevamo restare, che ci avrebbe mandato lui
la spesa giornaliera e tutto ciò di cui avevamo bisogno. Dapprima eravamo
ventidue poi gli anni sono passati per tutti poi chi è morto, chi è a ricovero,
così siamo rimasti in cinque e nessuno viene più a trovarci, solo alcuni
volontari ci portano la spesa ogni tanto. Così abbiamo deciso di chiamarlo
“Paese di nessuno”.
- E’ una bella storia! -
dissi – Ma perché non andate anche voi al ricovero?
- Vedi ragazzo - mi disse
tirandosi indietro il cappello dalla fronte – tu sai cos’è il ricovero?
- No – dissi.
- Allora te lo spiego: ti
mandano a letto come i polli, ti fanno alzare al mattino presto, per mangiare
ti danno quel che vogliono, non puoi uscire di casa e neppure fumare il sigaro!
Tu che dici, ti sembra questa una vita normale e libera?!
- No…a me sembra una vita
da carcerato!– dissi.
- Bravo, l’hai capito! E’
per questo siamo rimasti qui facendoci compagnia l’un l’altro.
- Ma lei Ottavio che lavoro
faceva da giovane?
- Facevo il carbonaio. Fare
il carbone non serviva più a niente e mi sono messo a fare il tagliaboschi
finchè ho potuto, poi arriva la vecchiaia e sei costretto a fermarti e vivere
come un animale libero però ricorda: la libertà finchè hai la salute è la cosa
più bella della vita. Accetta un consiglio ragazzo, da uno che ha già vissuto.
Tienine conto della libertà e non sprecarla in cose che non hanno significato.
La vita di ognuno di noi è come l’acqua del fiume: passa una sola volta,
indietro non torna mai.
- E’ vero ciò che dice! Ma
lei ha figli?
- Certo, ho figli e nipoti!
- Perché non vive con loro?
- Loro vivono in città, io
non ci posso vivere, mi sento in mezzo a tanti citrulli: chi corre di qua e di
là, a me sembra di stare in un manicomio all’aria aperta. Una volta ci andai in
un manicomio a trovare un mio amico che non era matto; lo ricoverarono perché i
figli non lo volevano più con loro facendolo così passare per matto. Sai cosa
mi disse? “Vedi Ottavio, qui non sono poi tanto matti come sembra, solo il
muratore quando murò il cancello lo mise all’inverso, si doveva aprire in un
altro modo, così noi si restava fuori e loro dentro.” A me il paragone sembrava
un po’ esagerato, dunque sappi ragazzo, so ciò che è giusto e ciò che è
sbagliato!
Finito il colloquio, visito il paese di nessuno e
ritorno a casa.
Per strada pensavo alle parole di Ottavio e che
tutto quello che mi aveva detto in fin dei conti non era poi così sbagliato.
“Chissà come sarò da vecchio? Mi domandavo, avrò le stesse idee d’ ora o cambierò?
Non mi so dar risposta e penso che anche voi, comunque la pensiate, non mi
sapreste rispondere! Se lo fate, non fidatevi di ciò che pensate: la vita
futura non la prevede nessuno e nessuno saprà mai come sarà la nostra vecchiaia,
sempre che poi ci si arriva.
Il rospo e la gallina.
Era un mattino d’estate, l’aria era molto calda, la
gallina non si curava tanto e come al solito ruspava nell’erba ancora fresca di
rugiada.
Mentre passeggiava, incontrò un animale strano.
- E tu chi sei ? – gli
disse.
- Sono un rospo!
- Che ci fai qui a
quest’ora?
- Povero me, - rispose il
rospo – mi sono allontanato troppo dal mio stagno e stavo cercando un posto
fresco per ripararmi dal sole. Ma dimmi un po’...- proseguì il rospo – eri tu che poco fa
berciavi “Coccodè! Coccodè!” così forte che quasi mi hai rotto i timpani?!?
- Si, ero io! - rispose la
gallina – Canto così forte per avvisare e per far conoscere a tutti che ho
fatto l’uovo!
- Che strano mondo! Ma agli
altri cosa importa se tu hai fatto l’uovo? – disse meravigliato il rospo.
- Con le mie uova si
nutrono molte persone ed io sono contenta che si nutrano col mio frutto, mi
sento molto orgogliosa di questo!
- Mah, sarà così… - rispose
il rospo - Chi si contenta gode!
- Ma tu cosa vuoi da me? –
chiese la gallina un po’ risentita.
- L’ho già detto! Vorrei
ritornare allo stagno a trovare un posto fresco perché io il caldo non lo
sopporto! Tu sai indicarmi qualche posto in cui possa passare la giornata?
- Vieni, ti porto io allo
stagno, monta sulla mia groppa!
La gallina si accovacciò per facilitare al rospo la
salita.
- Ma tu sai dov’è lo
stagno? – chiese il rospo.
- Certo che lo so! E’ lì
che vado di tanto in tanto a bere!
Così partirono, la gallina col rospo sulla schiena
camminava barcollando.
- Vai piano, sennò cado! –
gridava il rospo un po’ impaurito.
Arrivati allo stagno, la gallina si accovacciò per
far scendere il rospo. Ah… dimenticavo! Mentre andavano allo stagno per strada
incontrarono una lucertola che si sbellicava dal ridere.
- Perché ridi tanto? – le
chiese il rospo.
- Una scena così non l’ho
mai vista! Un rospo in groppa ad una gallina! – e poi ridendo continua: Buona
passeggiata!!
Appena sceso, il rospo si tuffò in acqua gridando:
- Grazie, grazie! Sei stata
molto generosa, mi ricorderò sempre di te, e spero d’incontrarti ancora!
La gallina si scuote le piume distendendo le ali
come se stesse per ricomporsi per fare la sua bella figura e disse al rospo:
- Vedi?! Io sono nata per
fare le buone azioni, tu prima mi hai criticato perché quando faccio l’uovo lo faccio
sapere a tutti! Ricordati caro rospo, che nessuno può criticare l’altro solo
perché è diverso; nella vita prima o poi tutti abbiamo bisogno dell’altro.
Il rospo mentre galleggiava nello stagno, aveva
ascoltato attentamente la gallina e disse:
- Hai ragione, hai ragione!
- ripeteva – Pure io ho capito che seppur diversi, siamo tutti simili!
Si salutarono entrambi affettuosamente.
Certo…a pensarci bene, deve essere brutto vedere un
rospo cavalcare una gallina! Nel mondo degli animali si può vedere di tutto
perché hanno tutti delle virtù nascoste che noi non sempre riusciamo a vedere.
La tartaruga e la chiocciola.
In un boschetto vicino ad un casolare una tartaruga
da poco uscita dal letargo invernale, se la spassa tranquilla in cerca della
prima erbetta che la primavera fa crescere. Vicino ad un grosso masso incontra
una lumaca:
- O tu dove vai, così
traballante? – le dice la tartaruga.
- Dove vai te! – rispose –
Io pure devo mangiare, sto cercando dell’erba tenera.
- O cara lumaca, hai voglia
di camminare?! L’erba che tu cerchi è lontano da qui, tu non ci arriverai mai a
veder come cammini!
- Non posso farci niente,
io non ho altri mezzi per spostarmi!
- Monta sopra di me, ti
porto io!
- Grazie tartaruga, ne
approfitto! Tu però ti devi abbassare in modo che io possa salire!
La tartaruga si abbassa contro il terreno e la
chiocciola lentamente sale sul suo guscio.
- Sbrigati! – gridava la
tartaruga – Altrimenti si fa notte!!!
- Porta pazienza…lo sai che
io non posso correre!
Così appena la chiocciola fu salita, lentamente la
tartaruga s’incamminò.
- Corri!Corri! – gridava la
chiocciola.
- Non posso, questo è il
mio passo, anche tu sei lenta a camminare!
- Certo, solo che io vado
dove tu non ci andresti mai da sola!
- E’ vero, sono stata
fortunata ad incontrarti! Speriamo che tutto finisca bene.
- Stai tranquilla che sei
in buone mani – ripeteva la tartaruga.
D’un tratto la chiocciola gridava:
- Ferma! Ferma! Ho visto un
topo in lontananza! Se lo incontriamo mi mangia in un boccone!
La tartaruga si ferma e grida:
- Scendi che ti nascondo
sotto al mio guscio così non ti vede, ma fai presto!
La lumaca, visto il pericolo pensò: “prima che io
sia sotto il guscio della tartaruga, il topo mi ha già mangiato!”. Così per far
prima si fece ruzzolare per terra.
- Ma cosa fai… sei impazzita?!?
– ripeté la tartaruga.
- Svelta, coprimi! coprimi!
A momenti il topo è qui da noi!
La tartaruga, capito il pericolo che correva la
lumaca, svelta la nascose sotto il suo guscio. Appena nascosta si avvicina il
topolino e dice:
- Buongiorno tartaruga, che
fai da queste parti?
- Buongiorno a te topolino!
Sto cercando l’erba tenera da mangiare, e tu che fai?
- Sento odore di lumaca…ne
hai vista qualcuna in giro per caso?
- No, io non ne ho viste,
forse tu ti sbagli!
- Non mi sbaglio,non mi
sbaglio! – ripeteva il topolino mentre girava intorno alla tartaruga – Sarà
mica sotto di te!?
- Ma che dici topolino! Io
non mi associo con certi animali!
- Sarà…ma non sono convinto!
– ripeté il topolino allontanandosi.
Appena il topolino si fu allontanato, la tartaruga
alzandosi disse alla lumaca che il topolino se n’era già andato, così
lentamente la lumaca risalì sulla groppa della tartaruga e finalmente giunsero
in un praticello in cui trovarono dell’erbetta fresca e tenera.
- Siamo arrivati, ora puoi
scendere mia cara!
- Finalmente! – disse la
lumaca – Era ora!
Così entrambe si misero a pascolare nel fraticello,
quando d’un tratto la tartaruga gridò:
- Lumaca nasconditi presto!
Sta arrivando un gatto!
Presto la lumaca si nasconde sotto ad una foglia
richiudendosi nel suo guscio, mentre la tartaruga si abbassa sotto il suo
guscio. Il gatto gira attorno alla tartaruga e con le zampe cerca di
rivoltarla. Ci prova più volte ma visto che non riesce, dà uno sguardo di rassegnazione
e si allontana.
- L’abbiamo scampata bella!
– ripeteva la tartaruga.
- E’ vero! E’ vero! Ma
perché è così difficile vivere? Se ognuno si facesse i fatti suoi non sarebbe
meglio per tutti?
- Certo, hai ragione cara
lumaca, ma il mondo è fatto così! La vita di ognuno è in pericolo, credimi…nessuno
a questo mondo vive sicuro; perciò rassegnati e cerca di non pensarci; vivi
felice finchè puoi giorno dopo giorno!
- Farò come tu dici, cara
tartaruga, e che Dio ti protegga.
Così pascolarono felici nel fraticello fin quando
giunse la notte. Il mattino seguente ognuno andò per suo conto distanziandosi
fra loro, sperando di vivere più a lungo possibile, evitando gli incontri
spiacevoli.
Chissà che fine avranno fatto, speriamo che abbiano
avuto fortuna, perché sono due graziosi innocui animaletti che meritano da
tutti un gran rispetto.
I tre monelli.
In un paesino di campagna abitavano tre ragazzini:
Pierino, Paolino e Pasqualino; in paese li chiamavano le “tre pesti”, quando
erano insieme le persone si preoccupavano delle loro monellate, che di tanto in
tanto per loro piacere facevano alle persone senza rispetto per nessuno.
Un giorno donna Giulia mentre stendeva il bucato in
giardino loro, da dietro una siepe, spruzzarono dell’acqua sporca per aria, che
il vento trasportò sul bucato di donna Giulia che tutta incavolata non si
capacitava di cosa stava accadendo visto che il cielo era sereno. Si guardò
intorno e non vedendo nessuno, brontolando fra se, riprese il suo bucato per
lavarlo di nuovo.
I tre ragazzini se la ridevano soddisfatti come se
avessero fatto un’impresa di piacere e senza dubbio per loro lo era ma non
certo per donna Giulia!
Un pomeriggio d’estate decidono di procurarsi i
soldini per gustarsi un gelato alle spese di qualche ignaro passante, così
pensano di spargere per strada dei piccoli chiodi, le macchine che passavano di
tanto in tanto foravano una gomma, poiché in paese ci stava un solo gommista, i
malcapitati erano costretti a rivolgersi a lui per la riparazione. Quel giorno
il gommista lavorò più del solito guadagnando dei bei soldini. A tarda sera,
prima che il gommista chiudesse bottega, si presentano a lui i tre monelli:
- Salve! - dice Pasqualino
- E’ andata bene oggi la giornata? Hai
lavorato?
- Abbastanza… - risponde il
gommista con fare sospetto.
- E’ per fare nostro che
hai guadagnato tutti quei soldi, siamo noi gli artefici del tuo guadagno!!
Dopo aver spiegato con calma la loro azione Paolino
chiede al gommista 10€ per comprarsi il gelato. L’uomo un po’ titubante ed
indeciso sul da farsi, mostra di non gradire la proposta; ma prima di parlare,
Paolino che fino ad allora è rimasto in disparte dice:
- Calmati! Non fare
sciocchezze! Dacci il nostro avere altrimenti diciamo in giro che sei stato tu
a spargere i chiodi sulla strada!
L’uomo, se pur a malincuore, dà loro i soldi
dicendo:
- Non fatevi vedere più
altrimenti vi faccio passare dei guai!
- Calma! - dice Pasqualino
- Tu hai fatto un buon affare oggi e noi ti abbiamo chiesto poco rispetto a
quello che hai guadagnato! A noi va bene così, volevamo solo poterci mangiare
il gelato e siamo contenti, ti salutiamo, alla prossima!!
Così anche questa volta i tre monelli se ne vanno
felici a gustarsi il tanto sospirato gelato.
Visto che lo scherzo funzionava, Pierino dice ai
compagni:
- Ragazzi, dobbiamo cercare
di spillare soldi anche a Paolo il falegname avaro!
- Si! - risponde Pasqualino
- Ma come?
- Io un’idea l’avrei! – dice Paolino.
- Come?! Come?! - rispondono
gli altri.
- Semplice! – ribatte
Paolino – Mettiamo degli stuzzicadenti dentro le serrature dei portoni così le
porte non si aprono e le persone sono costrette a rivolgersi al falegname, e
noi ripetiamo lo stesso gioco fatto al gommista!!
- Giusto! Giusto! - rispondono
in coro Pierino e Paolino - Così ci gustiamo un altro gelato alla faccia del
falegname!!
Passano alcuni gironi ed i tre si mettono in
azione; con scrupolosa astuzia aspettano che a tarda sera le persone siano
tutte nelle proprie case, e poi svelti si mettono all’opera infilando nelle
serrature gli stuzzicadenti.
Il giorno dopo quando le persone tentarono di
aprire i portoni trovarono i congegni bloccati, così disperate ricorsero al
falegname. Paolo, il falegname avaro, era ben felice di dover intervenire
perché aumentava il suo gruzzolo di soldi.
A fine sera, risolti i problemi di tutti, i tre
monelli si avviano a far visita al falegname. In prossimità della bottega lo
sentono cantare come un usignolo, poi giunti sulla soglia lo salutarono:
- Salve!
- Sei di buon umore? Ti è
andata bene la giornata? A sentire come canti devi aver guadagnato bene?!
Poldo che conosceva i tre monelli, calandosi gli
occhiali al naso li guarda sospettoso e dice:
- Scommetto che siete stati
voi a inserire gli stuzzicadenti nelle serrature!?!
- Giusto! – risponde
Paolino – Siamo stati noi.
- E da me cosa volete
adesso? - chiede il falegname.
- Vogliamo la ricompensa! -
sussurrò Paolino per paura che il falegname alzasse la voce.
- La ricompensa?!? Io vi
faccio andare in galera, da me non avrete proprio un bel niente!!
- Calmati – dice Pasqualino
– Calmati, siamo venuti qui a ragionare. Ci servono solo i soldi per comprare
il gelato, non si tratta di ricatto, ci bastano 10€ e ce ne andiamo!
Poldo, con tono alterato:
- Vi denuncio tutti e tre!
Avviso i carabinieri se non ve ne andate subito da qui!
Pasqualino, che era il più pacifico dei tre, si
rivolge a Poldo con calma:
- Stai calmo e tranquillo.
Se tu ci denunci noi diciamo che eravamo d’accordo con te e, poiché siamo in
tre a dichiararlo, siamo più credibili e tu non faresti certo una bella figura
in paese!
Poldo guarda i tre ragazzi e grattandosi la testa
dice perplesso:
- Va bene. Per questa volta
vi do i 10€ ma non fate più di questi scherzi perché io non smonterò più le
serrature e dirò a tutti che siate stati voi a combinare questo guaio!!
Messa la mano nel portafoglio porge ai ragazzi i
soldi e si salutano.
- Anche oggi c’ è andata
bene! – dice Paolino – Anche se Poldo ci ha fatto sudare! Non è da ripetere
quel che abbiamo fatto altrimenti Poldo ci denuncia per davvero!!
Intanto saltellando allegramente Paolo dice:
- Andiamo a gustarci il
gelato finalmente!
Era una calda sera d’estate ed i tre monelli giocavano
nel garage di Pasqualino quando a Paolino viene un’idea:
- Perché non facciamo uno
scherzo a sora Giulia che vive sola ed è paurosa?!
I tre monelli annuiscono e si mettono subito a
lavoro. Prendono delle vecchie tavole di legno che stavano nel garage di
Paolino con chiodi e martello e fanno una croce, prendono poi una zucca che il
nonno di Paolino aveva in uno scaffale, la svuotano per bene e intagliano
occhi, naso, bocca poi mettono dentro una candela accesa e fissano la zucca in
cima alla croce. Pierino corre a casa per prendere un vecchio lenzuolo di sua
madre per rivestire la croce e completare l’opera. Avrebbe fatto paura a
chiunque vedendola al buio di notte. Paolino stesso sussultò nel vederla uscire
dal garage e disse:
- Adesso andiamo a fare lo
scherzo a sora Giulia che ci rompe sempre le scatole col suo gatto rosso!
E pian piano si avviano verso la casa di costei.
Giunti davanti alla porta, appoggiano la croce al
cancello, suonano il campanello e si nascondono dietro un muretto per assistere
alla scena.
La signora apre la porta col gatto in braccio e
scorta la sagoma, il gatto sgattaiolò spaventato dalle braccia della donna e
lei gettò uno strillo così forte che sentì tutto il vicinato.
I tre monelli fuggirono svelti nel buio per non
essere visti, portandosi via il “fantasma”, mentre sora Giulia cadde a terra
svenuta.
Arrivarono di corsa i vicini di casa che, non
sapendo dell’accaduto e trovandola a terra,
preoccupati chiamarono i soccorsi. Giunse a breve l’intero paese e fu
portata all’ospedale.
Fatti i dovuti accertamenti, la donna fu rimandata
a casa dove si riprese pian piano, incredula anche lei di quel che le era
capitato.
Il giorno seguente la donna raccontava a tutti di
aver visto dei fantasmi davanti alla porta di casa; così in paese si commentava
il fatto, c’era chi rideva, chi invece credeva in un pessimo scherzo fatto alla
donna.
I tre monelli intanto ritrovandosi insieme il
giorno seguente commentavano preoccupati:
- Stavolta l’abbiamo fatta
grossa! - dice Pasqualino.
- Abbiamo rischiato troppo!
- dice Paolino.
- Certi scherzi non sanno
da fare! – dice invece Pierino – Se sora Giulia moriva erano guai grossi per
noi!
Così i tre capirono che tutti gli scherzi avevano
un limite e che dobbiamo guardarci bene dal non esagerare altrimenti anche uno
scherzo può diventare tragedia.
La banda Baratto.
Nelle vicinanze di Firenze c’è un paese chiamato “Baratto”.
Una vecchia leggenda dice che molti anni fa gli
abitanti facevano una grande festa scambiandosi fra di loro la merce di ogni
tipo per esempio, scambiavano una gallina con un cappello, oppure un coniglio
con delle scarpe, un maiale con una stufa, un cavallo con una mucca e cosi via
dicendo. La gente veniva anche da paesi lontani e la festa durava diversi
giorni, fu così che il paese prese il nome di Baratto, nel quale ci abitavano
quattro ragazzi molto uniti fra loro, a tal punto che stavano sempre insieme da
mattina a sera. Per far passare il tempo combinavano sempre qualche scherzo
alle persone che secondo loro meritavano.
Il capo della banda si chiamava Antonio e, poiché
gli piacevano tanto le polpette della nonna, il suo sopranome era Polpetta; poi
c’era Luca un ragazzo piccolo ed esile e per questo chiamato Bruscolo; il terzo
era Luigi un ragazzo alto, magro, detto Spillo; infine c’era Piero un ragazzone
robusto, in carne detto Bozzolo.
In paese li nominavano la banda Baratto.
In paese c’era anche un tale detto Tonino a cui
piaceva tanto il vino e si vantava di avere sempre il vino buono che nessun
altro poteva avere.
In paese ricorreva la festa vinicolana e si usava
fare una gran cena popolare nella piazza del paese, portando ognuno qualcosa da
mangiare. Tonino disse a tutti che il vino lo avrebbe portato lui. La banda del
baratto si mise in moto per fare uno scherzo a Tonino.
Polpetta disse:
- Ragazzi, dobbiamo fare
uno scherzo a Tonino così smetterà di vantarsi sempre che il suo vino è il
migliore!
- Giusto! - risposero gli
altri.
Così aspettarono che Tonino facesse il suo
sonnellino pomeridiano per entrare in azione.
Tonino aveva la cantina sotto il garage con
l’ingresso sulla strada principale ed una piccola porticina all’interno del suo
giardino; i ragazzi scavalcato il cancello entrano in giardino e dalla
porticina scendono in cantina portandosi appresso tutto l’occorrente e si
misero all’opera. Polpetta con una grossa siringa aspirava il vino dai fiaschi
e Spillo li riempiva con aceto; Bruscolo apriva i fiaschi e li richiudeva
mentre Bozzolo era addetto a prendere i fiaschi e riporli sugli scaffali. Così
organizzati l’operazione fu conclusa in breve tempo.
Il giorno seguente ovvero quello della festa, tutti
felici e contenti iniziano e mangiare ma appena assaggiano il vino di Tonino
iniziano a lamentarsi…chi sputa a destra e chi a sinistra… dicevano tutti
gridando e ridendo divertiti:
“Cos’hai portato Tonino? E’ questo il tuo buon
vino?”
Tonino lo assaggiò e diventò rosso dalla vergogna,
non sapeva come fare per giustificarsi. Ci fu una risata generale, chi ne
diceva una, chi un’altra, così il povero Tonino se ne andò addolorato tanto che
la notte non dormì pensando a come gli era potuta capitare una cosa simile.
I ragazzi che ammiravano divertiti la scena si
resero ben presto conto di averla fatta grossa e un po’ si pentirono, ma oramai
il danno era fatto e dissero soddisfatti:
- La banda baratto ha colpito ancora!!!
Dopo alcuni giorni Bozzolo dice:
- Ragazzi ho trovato una
serpe morta! Dobbiamo fare qualcosa?
- D’accordo! – dice
Polpetta – Pietrone l’ortolano che tiene sempre le ceste di verdura sul
marciapiede a disturbare il passaggio e non lo può fare!?
- Hai ragione – dice Spillo
– facciamogli pagare la sua arroganza!
I quattro si misero davanti alle ceste di verdura e
Bruscolo nascose la serpe morta dentro la cesta dell’insalata.
Dopo qualche minuto si avvicina alla cesta per
prendere l’insalata una distinta signora, ma appena la solleva lancia un urlo
così forte che le persone che erano dentro il negozio corsero fuori a vedere.
- Aiuto! Aiuto! C’è un
serpente dentro il cesto dell’insalata! - grida la signora.
Pietrone mortificato non sapeva cosa fare poi,
visto che la serpe non si muoveva, si fece coraggio e la tolse dal cesto
buttando via tutta l’insalata.
Tutte le donne attorno dicevano la loro:
- Non è bene tenere la
verdura sul marciapiede! Non è igienico! -mormoravano.
Pietrone disperato dovette togliere tutte le ceste
dal marciapiede.
I ragazzi invece soddisfatti ripetevano:
- La banda baratto ha
colpito ancora!.
Una mattina ai giardini i ragazzi trovarono un
grosso rospo e lo misero in una scatola di cartone mentre Bruscolo continuava a
ripetere:
- Che ne facciamo ora?
- Dobbiamo combinare
qualcosa - replica Spillo.
- Giusto – dice Polpetta – io ho già un’idea! Sapete la
signora Fidarma, quella che gira sempre tutta piena di gioielli e si dà tutte
quelle arie da regina? Lei tutte le mattine va dal pasticciere a fare
colazione…mentre lei fa colazione noi gli mettiamo il rospo sopra il sedile
della macchina!
- Giusto – dice Bozzolo –
ed io le scrivo un biglietto di complimenti!
La mattina seguente appena la signora Fidarma
scende dalla sua macchina tutta per fettina per entrare in pasticceria, i
ragazzi partono all’attacco; posano il rospo sul sedile e mettono un biglietto
sul tergicristallo della macchina.
Finita la colazione la signora si accinge a salire
in macchina, ma come apre lo sportello vede il rospo sul sedile e prendendosi
uno spavento inizia ad gridare ed insultare a vanvera; le persone nei paraggi
si avvicinavano e vedendo la scena scoppiavano a ridere di cuore; un signore
poi le dice:
- Guardi, ha un biglietto
sul parabrezza! Lo tolgo?
- Si. Cosa c’è scritto?!”
chiede la signora Fidarma inferocita.
Il signore prese e lesse il biglietto:
- La bella e la bestia,
buona compagnia! - disse.
La gente intorno scoppiò in una risata generale e
la signora Fidarma arrossendo ed arrabbiandosi, buttò giù con un bastone il
rospo dal sedile e partì veloce come un fulmine. Da quel giorno la signora non
tornò più a fare colazione in pasticceria.
I ragazzi soddisfatti gridavano in coro:
- La banda baratto ha
colpito ancora!
In periferia del paese c’erano diversi orticelli di
proprietà appartenenti a pensionati e i ragazzi passavano spesso da quelle
parti. Un mattino vedono il vecchio Adone che si disperava e gli domandarono:
- Cos’è successo Adone?
Perché ti disperi?
- Povero me! Tutti i miei
cavoli sono pieni di bruchi e non riesco a liberarmene! - dice il vecchio, ma
subito Spillo:
- Non ti preoccupare Adone
ho io la soluzione. Ha avuto il tuo stesso problema mio nonno e in due giorni è
riuscito a sterminarli!
Il vecchio lo guarda perplesso, ma anche gli altri
ragazzi confermavano le parole di Spillo:
- E’ vero! Anche suo nonno
li ha avuti e ha risolto il problema con della polvere bianca che spargeva di
notte al buio. Lo abbiamo aiutato anche noi!
Adone, vista la fama, non si fidava granché dei
ragazzi, ma volle ascoltarli e chiese:
- Va bene. Dimmi come ha
fatto tuo nonno?
- Questa sera a tarda notte
veniamo con la polvere bianca del nonno, tu fatti trovare sveglio e vedrai che
riusciremo a cacciare i bruchi dai cavoli. - spiega Spillo.
Così si salutarono.
I ragazzi si allontanarono ridendo come matti.
- Allora cosa combiniamo ad
Adone stanotte? - pensavano.
- Ci penso io ragazzi –
dice Polpetta – prendo della farina e vedrete!
A notte fonda i ragazzi si dirigono all’orticello
di Adone e lo trovano in piedi ad aspettare incuriosito.
Polpetta presa la farina bianca mischiata a della
sabbia fine dice:
- Adone andiamo fra i
cavoli con una candela accesa e mentre io spargo la polvere tu devi dire quello
che dico io, va bene? Hai capito?
Adone incredulo, annuì ed i ragazzi a stento
trattenevano le risa.
Polpetta in mezzo ai cavoli con la candela accesa
iniziò:
- Bruchi, bruchini,
bruconi, andate via dai cavoli di Adone! Adone grida anche tu con me altrimenti
non ci sentono! - e così anche Adone iniziò a gridare quelle parole e mentre le
ripeteva Polpetta si avvicinava al cancello; i ragazzi davanti a quella scena
ridevano come non mai e Polpetta dal cancello:
- Bruchi, bruchini, bruconi
andate via dai cavoli d’Adone e posatevi su quel povero coglione!
A quelle ultime parole i ragazzi se la diedero a
gambe levate, mentre Adone rimase immobile come un cretino con la candela in
mano, sconsolato per la burla ricevuta.
- La banda baratto ha
colpito ancora!! - gridavano i ragazzi ridendo a crepapelle come non avevano
fatto mai.
Balocchi in soffitta.
Il mio nome è Daniele, sono un bambino come tanti e
vi racconterò la mia storia un po’ vera e un po’ immaginaria.
Forse è capitato anche a voi una cosa simile senza
che ve ne siate accorti.
Ascoltatemi attentamente e poi date le vostre
conclusioni in merito.
Nella mia casa c’è una soffitta il cui accesso è
dalla scala principale, per cui è molto semplice per me accedervi visto che lì
custodisco tutti i miei balocchi con cui passo molte ore della giornata a
giocare. Possiedo balocchi vecchissimi dai tempi della mia infanzia e mi
piacciono tutti perché mi ricordano il tempo passato. Per me i balocchi sono
tutti oggetti parlanti con cui parlo spesso e loro, in qualche maniera
comunicano con me.
Un giorno ho visto l’orsacchiotto Cuco piangere.
- Perché piangi? - gli dico
e lui mi risponde:
- Perché nessuno gioca più
con me!
- Hai ragione. - Così l’ho
preso per mano e l’ho baciato asciugandogli le lacrime, mentre l’ho accarezzato
l’orsacchiotto mi dice:
- Ogni tanto ricordati di
me! Sappi poi che non sono l’unico a lamentarsi…nello scatolone c’è anche Pippo
il molleggiato che a te piaceva tanto, il Corsaro nero, la Fata turchina, Ringo
col suo cavallo bianco, la macchina verde rimasta senza una ruota te la
ricordi?
- Certo che la ricordo! - dico io.
- Ebbene stanno tutti
insieme ad aspettare te! - dice lui.
- Lo farò! – rispondo io –
lo farò! Stai tranquillo!
L’orsetto mi aveva fatto capire che non è sempre
bene quello che si pensa, ma è importante quello che si fa!
Mi spiego meglio: tutti i balocchi mi ricordano
l’infanzia, quando da piccolo giocavo con loro e mi affezionavo, ma ora che
sono cresciuto non mi servo più di loro, dei loro piaceri e dunque li trascuro.
Così dopo quelle parole ribaltai lo scatolone e
misi i balocchi tutti in fila sopra un vecchio tavolo su cui solitamente
giocavo e con voce commossa mi rivolsi a loro dicendo:
- Come faccio a giocare con
tutti voi che siete così tanti! Non posso passare l’intera giornata, come
facevo un tempo, con voi, altrimenti mia madre me lo proibirebbe!
- Questo è giusto – dice
Pippo – ma allora perché non ci doni a quei bambini che non hanno giocattoli?
Così noi rendiamo felici loro e noi ci divertiamo!
- Avete ragione, posso
sopportare la vostra mancanza, ma che ne sarà di voi? Gli altri bambini vi
tratteranno bene come ho fatto io?!
- Non preoccuparti – dice
la Fata turchina – se non avranno cura di noi è perché ci adoperano, e se ci
adoperano vorrà dire che siamo utili! Ricordati Daniele che noi siamo stati
creati per questo.
- E’ vero – replica il
Corsaro nero – ha detto bene la Fata, anche se non ci vedremo più, se saremo
divisi, saremo sempre felici.
- Certo! Basta che si
possano sentire le mani di un bambino che ci accarezzi!
- Noi caro Daniele – disse
l’orsacchiotto – sappiamo di non dover vivere a lungo!
- Ha ragione – replica
Ringo – è molto meglio che stare qui in soffitta chiusi in una scatola!!!
- Ben detto! Giusto! - dissero in coro gli altri balocchi.
- Daniele – disse
l’orsacchiotto Cuco – devi dimostrare, anche se questo costa sacrificio, di
avere buon senso per noi e per gli altri bambini poveri che non hanno mai avuto
balocchi.
Così fui costretto, con le lacrime agli occhi, a
liberarmi dei ricordi della mia infanzia.
Col tempo pian piano lo sgomento mi passò, ma
dentro di me rimane sempre il ricordo.
Così è fatta la vita! Il tempo passa, i fanciulli
crescono, diventano grandi ed i giocattoli pure hanno fine. Quel che conta,
come tutte le cose della vita, è che siano serviti a qualcosa, e che ognuno si
renda utile per quello che è e che può fare per rendere felici coloro che la
felicità non la conoscono ancora.
Pattini d’argento.
Fin da piccolo mi piaceva correre. Ogni giorno
andavo ai giardini dove ci stava una pista di pattinaggio e, vedendo gli altri
bambini pattinare, venne anche a me la passione.
Vedendo i bambini pattinare mi si stringeva il
cuore e volevo tanto essere al posto loro.
Ogni volta che chiedevo a mio padre di comprarmi i
pattini lui mi diceva che aveva delle spese più importanti da fare. Finché,
quando fui promosso in quinta elementare, i miei genitori mi regalarono i tanto
desiderati pattini.
Quando potevo li calzavo ed in breve tempo imparai
a correre; correvo così forte per poi aprire le braccia e sentire il piacere
quasi di volare; ero la persona più felice del mondo.
Un giorno, con la mia amica Luisa, abbiamo
pattinato tutto il pomeriggio. Stanche e sudate ci siamo fermate e abbiamo
deciso di prenderci un gelato. Tolti i pattini e lasciati sopra una panchina
vicina, siamo andate a prendere il gelato, ma quando siamo tornate i miei
pattini non c’erano più, erano spariti seppure con la coda dell’occhio ero
sicura di non averli mai persi di vista.
Mi misi a piangere dalla disperazione mentre Luisa
cercava di consolarmi dicendomi:
- Dai non piangere, vedrai
che tuo padre te ne comprerà dei nuovi!
Ma io sapevo che ciò non sarebbe accaduto, perché
avevo atteso degli anni che mi comprasse questi che erano talmente belli da
chiamarli “pattini d’argento”.
Non avevo il coraggio di rientrare a casa per il
dispiacere e per la vergogna, ma appena fui a casa mia madre si accorse subito
che qualcosa non andava. Così dopo averle raccontato tutto piangendo le dissi:
- Ed ora come faccio a
raccontarlo a papà?!
- Stai tranquilla piccola,
ci penso io.
Mi chiusi in camera ad aspettare con ansia l’arrivo
di mio padre e quando finalmente arrivò, lo sentii parlare con la mamma. Dopo
un po’ aprì la porta e mi abbracciò dicendomi:
- Piccola mia non piangere,
vedrai che a tutto c’è rimedio.
Dopo pochi giorni ebbi un paio di pattini nuovi;
non erano belli come i primi, ma ero felice ugualmente e tornai con Luisa ai
giardini a pattinare.
Un giorno pattinando, vidi ai piedi di un ragazzo
un po’ più grande di me, dei pattini identici a quelli persi, e più li guardavo
più mi convinsi che erano i miei.
La sera stessa convinsi mio padre a venire ai
giardini con la speranza che potesse chiarire il mio dubbio. Così il giorno
seguente mio padre venne alla pista di pattinaggio e fermò il ragazzo che da
prima negò dicendo che i pattini erano suoi poi, un po’ per la mia insistenza,
un po’ per paura, confessò dicendo di averli trovati sopra una panchina…
- Perchè l’hai fatto? –
disse mio padre – sapevi che i pattini non erano i tuoi!!
Il ragazzo con gli occhi rossi dal pianto rispose:
- Perché i miei genitori
non me li possono comprare! Mi hanno detto che sono una spesa inutile, ed io
vedendo gli altri ragazzi sulla pista soffrivo; così ho approfittato dell’occasione
che mi è capitata.
Sentendo questa brutta storia capii che era stato
più sfortunato di me e gli chiesi:
- Come ti chiami?
- Mi chiamo Luca. - mi
rispose con le lacrime agli occhi.
- Ascolta Luca, facciamo
così…io mi riprendo i miei pattini d’argento e a te regalo questi ultimi che mi
ha comprato il papà!
- A me va benissimo! - disse
Luca con voce più tranquilla.
- Tu che ne dici papà, sei
d’accordo? - chiesi a mio padre.
Lui guardandomi mi disse:
- Se ne sei contenta tu a
me va bene.
Così io e Luca diventammo amici e tutti i giorni
pattinavamo insieme scambiandoci confidenze; seppure lui era più grande di me
si comportava come un fratello.
Tra noi nacque un’amicizia così forte che anche se
non c’incontravamo ci sentivamo per telefono ogni giorno.
Io pensai a com’è strana la vita; avvolte anche da
una brutta avventura può nascere l’affetto. Il bene ed il male di noi non si
scopre camminando per strada, ma è dentro di noi e non sempre si vede.
Le parole di un masso di pietra.
Prima di raccontarvi i fatti mi presento. Io non
sono una pianta né un animale né un essere umano, ma sono semplicemente un
masso di pietra. Si! Avete capito bene! Sono un masso che si trova nel rientro
al margine di una strada molto trafficata.
Probabilmente negli anni passati qui c’era una cava
di pietra ed ora hanno fatto una piazza ai margini di questa grande strada.
In un giorno di pioggia mi sono staccato dalla cima
della montagna cadendo giù ai piedi di questo spiazzo e credetemi ne ho viste
di tutti i colori! Cercherò di raccontarvi solo alcuni dei fatti capitati.
Una sera a notte fonda, si ferma qui una cosa con
quattro ruote che non so cos’era!
Scende un signore, si avvicina a me e mi urina
addosso. Mi ritrovai bagnato e puzzolente e come se non bastasse, si avvicina a
me anche il suo cane che, alzata la gamba, mi bagna pure lui.
Io pensai che non era certo un atto di amicizia un
comportamento del genere, così stetti bagnato tutta la notte.
La mattina seguente, appena fece luce, il signore
ed il cagnolino ripeterono il gesto, rientrarono in quella specie di cosa a quattro
ruote e se ne andarono.
Dovetti aspettare il sole per asciugarmi sebbene
tenni quel cattivo odore per giorni.
Una mattina si ferma un’auto (così si chiamava
quella cosa a quattro ruote) grigia con un uomo ed una donna a bordo. Dapprima
parlavano calmi, poi si sono agitati ed hanno iniziato ad urlare, mi è parso di
vedere anche delle mani volare.
Comunque gridavano così forte che un passero lì in
disparte che razzolava fra i sassolini, si impaurì e volò via. I due poi hanno
messo in moto l’auto e sono partiti a tutta velocità rischiando, immettendosi
in corsia, di schiantarsi contro un camion che transitava in quel momento.
Una mattina presto si ferma un’auto fatta come un
piccolo autobus, scende una persona con barba e baffi ed apre lo sportello
posteriore da dove scendono due cani che si mettono a gironzolarmi attorno
annusandomi ma, neanche il tempo di rendersene conto che il barbuto riparte
all’improvviso lasciando a terra i due cani.
Quando questi se ne accorsero, il bus era già
lontano.
I due cani si guardarono l’un l’altro e chissà cosa
avranno mai pensato? Si avvicinarono a me, mi annusarono nuovamente e fecero i
loro bisogni; questa volta li perdonai poveretti! Mi fecero una gran pena!
Continuavano a gironzolare, a strofinarsi il muso
ed a testa bassa si avviarono lungo la strada.
Pensai al perché di quel comportamento e a quale
fine avrebbero fatto i due cani.
Un pomeriggio si ferma un’auto verde grande dalla
quale scendono due bambini con due cagnolini e subito iniziano a giocare con
loro; davanti all’auto il padre si mette a leggere un libro, mentre la madre
sfoglia una rivista seguendo con la coda dell’occhio ogni passo dei bimbi coi
cagnolini. Dopo che le bestiole fecero i bisogni (non addosso a me per
fortuna!) risalirono tutti in macchina e se ne andarono.
Mi domandai: “ma qui vengono a fare solo i propri
bisogni?”.
Per fortuna non era proprio così. All’imbrunire si
ferma un’auto con due persone di una certa età. Era pieno inverno e faceva
molto freddo. I due anziani parlavano molto e poi iniziavano ad accarezzarsi ed
infine a baciarsi molto appassionatamente. Vedevo un gran garbuglio nell’auto
finchè i vetri si appannarono e non vidi più nulla se non l’auto che
traballava.
Ho pensato: “speriamo che questi due non si
uccidono!”.
Dopo un po’ si abbassano i finestrini e vedo loro
che nel riordinarsi continuano ad abbracciarsi e con questo ho capito che
l’amore esiste per davvero e quando c’è non ha età.
In una notte d’estate la luna risplendeva in cielo
e faceva tanto chiarore che pareva quasi giorno; si ferma vicino a me una
motocicletta con due giovani che, scesi e tolto il casco, compresi erano una
coppia. Messa la moto sul cavalletto si siedono sopra di me (naturalmente non
puzzavo più perché l’acqua piovana dell’inverno mi aveva ripulito) e guardando
la luna si scambiavano tante parole d’amore, baciandosi e baciandosi... Durò
tutto per molto ed io, che ero sotto di loro, per la prima volta mi sentivo
utile e felice; in quel momento non mi sentivo più un masso, un essere
inanimato, ma grazie all’amore di quei
ragazzi mi ero trasformato in un essere animato, un essere vivente. E’ proprio
vero il detto che l’amore fa risuscitare anche i morti.
Dopo qualche ora i ragazzi se ne andarono ed io
tornai quello che ero ossia un masso. Avevo capito però che nella vita
dell’uomo non tutto è cattivo; che l’importante è scegliere il buono e
respingere il cattivo.
Avrei tante altre storie da raccontare ma non sono
sicuro che possano piacere, perciò se così non fosse le racconterò una prossima
volta.
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